
30 agosto 2010
Buon 213° Compleanno Mary!

29 agosto 2010
Blue in the Face
La tabaccheria gestita dal rude/tenero Harvey Keitel torna a fare da collante a storie straordinarie, ma decisamente il più comune possibili, in quello che è stato definito "il seguito ideale di Smoke".
Questa volta, per la maggior parte dei casi, Wang e Auster decidono di non raccontare direttamente le varie vicende: ma di lasciarle raccontare ai personaggi.
Blue in the Face, più che un film a trama, si può considerare come una raccolta di testimonianze sulla vita di Brooklyn, sulla storia del quartiere, sul baseball e molto altro ancora... tutti argomenti che si possono ascoltare entrando in un qualsiasi bar o tabaccheria. A questo proposito, devo dire che mi ha colpito e divertito la sequenza in cui Jim Jarmush decide di smettere di fumare, decidendo però di voler farsi la sua ultima sigaretta con il suo tabaccaio di fiducia, Harvey Keitel. A questo punto, da un piccola sigaretta partono vari ragionamenti sulle abitudini scandite dal fumo, sul cinema arrivando ai ricordi della prima sigaretta. Interessante notare come si sia riusciti a ricreare perfettamente, in questa e in tutte le vicende, ciò che avviene nella vita reale.
Magistrale prova di Wayne Wang e Paul Austen anche se, per poco, non riesce a superare la maestria raggiunta con il predecessore Smoke.
Di seguito vi offro un assaggio del dialogo, di cui ho parlato sopra, tra Harvey Keitel e Jim Jarmush.
E.
23 agosto 2010
Un buon libro o una buona fumata?
Ed eccomi qui, curioso di poter leggere il vostro parere su un racconto che viene narrato nel film Smoke, pellicola di cui ho già parlato in un articolo qualche tempo fa su Mr E.
Così, aspira e sbuffa, aspira e sbuffa poco alla volta si fuma il libro..."
Quello che mi piacerebbe è sentire la vostra opinione sulla domanda che viene posta alla fine del racconto.
E.
21 agosto 2010
Cradle of Filth: dettagli sul nuovo album
Oggi è finalmente stata svelata la copertina di Darkly, darkly, Venus Aversa, la nuova fatica in studio dei britannici Cradle of Filth, che potete ammirare qui sotto.
Di seguito, potete anche trovare la nuova Lilith Immaculate, il primo estratto dall'album.
Che dire... speriamo che sia ancora meglio di Godspeed on the Devil's Thunder, a mio giudizio un album più che buono anche a confronto con le ultime miserie prodotte dalla band, e di non buttare i soldi nel cesso, letteralmente, come successo con Thornography.
L'album sarà presente nei negozi di dischi a partire dal primo di novembre.
E.
20 agosto 2010
Organizer '92 pt.4
19 agosto 2010
Organizer '92 pt.3
18 agosto 2010
Organizer '92 pt.2
E.
17 agosto 2010
Organizer '92 pt.1
E.
14 agosto 2010
Lavori in corso... revisioni, ri-scritture e caccia al Duende
Si cresce di giorno in giorno. Come dire che la scoperta del Duende è sempre più vicina. Ci vorrà il suo tempo, ma io sono qui... e non vedo l'ora di pescarlo con i polpacci nella morsa che ho predisposto all'interno dei miei circuiti cerebrali.
10 agosto 2010
Code of Honor
Dedicated to Oscar, Giorgio and also to my sweety love-delicious…
“The Blood is the life,
and the music is the mind…”
E.
9 agosto 2010
Quando anche il Leader(Maximo) fece una battuta da nerd…
Ci sono momenti nella vita in cui non puoi fare a meno di staccare i jack, prendere su la chitarra e abbandonare la sala prove per mettere le tue cose in ordine e prepararti ad andar via.
Più o meno quello che è successo ieri verso la fine delle prove con i Soul Guardian, quando il Fil viene fuori con questa battuta:
“Un videogioco gioca ad un altro videogioco. Dopo pochi minuti, il videogioco perde la partita e l’altro gli dice –Povero, non piangere. Ti CONSOLE io se vuoi-”
Ho fatto bene o no a metter via la chitarra e tutto il resto?
E.
7 agosto 2010
L.E.G. ovvero un nuovo modo per dare sfogo alla mia passione
Ciao ciao ciao cari.
Sono lieto di annunciarvi la nascita di un nuovo progetto: L.E.G. Un blog il quale unico scopo sarà quello di pubblicare racconti. Ma la particolarità del progetto sta nel fatto che le storie verranno scritte a sei mani. Da me, Giulia e Gigi. Una nuova occasione per dare sfogo alla mia passione: scrivere.
Abbiamo già cominciato a buttare giù qualcosa e il risultato, ai miei occhi, è entusiasmante.
Che dire, in bocca al lupo a noi!
E.
Baby, Jude pt.9
Nulla
Il suo corpo è nudo e sudato. L’oscurità lo avvolge.
“C’è qualcuno?”
La sua voce si perde nel buio, senza ottenere risposta. Il suo urlo non presenta il solito suono squillante e fastidioso, è come smorzata da un’atmosfera troppo pesante anche per far trasparire la sua voce. Non esiste il benché minimo eco.
Fa caldo. Il ragazzo si passa una mano per asciugarsi la fronte fradicia di sudore. Dai suoi capelli cadono piccole gocce di sudore. Non fanno rumore quando toccano terra. Sempre che di terra si possa parlare. Sembra che il nulla l’abbia inghiottito.
“C’è nessuno?”. Il secondo urlo fa la stessa fine del primo, smorzato da quella invisibile e impalpabile pesantezza.
Non c’è luce, non c’è ombra. C’è solo il nulla che lo avvolge e lo tiene stretto come una trave di faggio in una morsa.
All’improvviso un fascio di luce proveniente dall’alto lo avvolge e la temperatura si abbassa drasticamente. Bastano pochi secondi perché il ragazzo si senta gelare fino alle ossa, piccoli frammenti di ghiaccio cominciano a comparire sui suoi capelli. I respiri pensanti di lui producono fasci di vapore che, uno ad uno lo avvolgono dalla testa ai piedi.
Dal vapore si comincia ad intravedere qualcosa che cambia nell’oscurità. Il nulla comincia a schiarirsi, fino a scomparire del tutto materializzando intorno al ragazzo un ambiente nuovo: sembra un ufficio. Dalla finestra si vedono corridoi di filo spinato, baracche di legno e pochi edifici in pietra. Da uno di questi edifici spuntano due comignoli alti e neri, in mattoni anche questi, dai quali esce un fumo nero come il nulla che fino a poco prima avvolgeva l’esile e nuda figura di R. Il tutto è coperto di candida neve proveniente da un cielo più grigio che mai.
Il ragazzo comincia a guardarsi attorno: alle pareti dell’ufficio sono appese molte foto in bianco e nero, incorniciate, raffiguranti uomini nudi e visibilmente denutriti messi in fila uno affianco all’altro, come una foto segnaletica di gruppo. Quello che colpisce la sua attenzione, però, è un ritratto appeso alla sua destra: è più grande di tutte le foto presenti nell’ufficio, anche la cornice è di miglior fattura, e ritrae un uomo con dei ridicoli baffetti, i capelli pettinati con la riga a destra, in uniforme bruna e svastica al braccio sinistro. Non è la figura a far raggelare R, ma gli occhi del ritratto… sono fissi su di lui e sono lucidi, come se stessero beneficiando di vita propria.
Il ragazzo fa per indietreggiare, ma si accorge che non riesce a muovere i piedi. Abbassa lo sguardo e nota che il ghiaccio avvolge le sue gambe fino al ginocchio, impossibile riuscire a camminare intrappolato com’è.
INDEFINITO
“Finalmente ci hai raggiunti”
Compare una sagoma alta e scura che però si mantiene fuori dalla luce che ancora avvolge il corpo nudo e tremante di R.
R
“Chi è?!”
Questa volta la sua voce riesce a trovare via libera nell’atmosfera che poco a poco si fa sempre meno pesante. Però il freddo rimane eccome. La sagoma, si riesce a distinguere una figura umana con indosso un qualsiasi cappello da ufficiale, fa un passo verso R mantenendosi però al di fuori del recinto di luce. Al suo avvicinarsi, la temperatura sembra irrigidirsi ancora di più, ma la sagoma non sembra soffrirne.
INDEFINITO
(urlando)
“Chiamami per grado brutto pezzente. Io sono Sturmbannführer, e tu sei un cane ebreo”
L’immediata reazione di R è quella di rispondergli con qualche insulto, ma l’autorità sprigionata da quella voce e la paura che prova in quel momento prendono il controllo delle labbra, pian piano fino al cervello, fino a dominare in pieno le sue capacità articolative. Il ragazzo ormai è un giocattolo completamente succube alla volontà del suo potente interlocutore.
R
(intimorito)
“Come desidera, Sturmbannführer”
Sturmbannführer
“Così va meglio. Da oggi tu sarai il numero 655321. Mi hai sentito, teppa?”
R
“Sì, Sturmbannführer…”
Sturmbannführer
“Molto bene. Bisogna imporre la disciplina a voi ratti ebrei. Non avete rispetto di niente e di nessuno. Avete fatto in modo che il nostro paese mostrasse le chiappe per farsi montare a turno dai paesi avversari e ovviamente inferiori, ed ecco quello che vi meritate adesso che vi abbiamo scovati uno ad uno: o rimanere tre giorni e tre notti appesi per il collo o venire impallettati per bene al Muro della Morte oppure venir soffocati dal gas che abbiamo creato apposta per voi. Devo ammettere che la terza è la pena che preferisco. Voi siete un nugolo di anime dannate, e noi siamo la legge del divino contrappasso”
Una scintilla di follia risplende per un attimo negli occhi della sagoma. R non sa cosa dire. Non sa dove si trova. Cosa ci fa lui, tutto nudo, davanti a quel pazzo?
Lo Sturmbannführer continua a riversare parole su parole offendendo gli ebrei, quella che chiama “razza impura e meritevole di tortura e giusta morte”, ed elogiando il suo popolo, quello che chiama “razza ariana”. La mente di R ormai si è trasferita altrove, non può più ascoltare i deliri emanati da quella scura sagoma.
Sturmbannführer
“Ora veniamo a noi… Devi sapere che l’onore di entrare in questo ufficio è riservato a pochi. Che cosa pensi che si faccia qui dentro?”
R
“Non ne ho idea, Sturmbannführer”
Sturmbannführer
“Qui dentro ci entrano solo gli ebrei che mi piacciono, e che potrei decidere di mantenere in vita per un po’. Ma solo se fanno i bravi…”
R non riesce a capire ciò che la sagoma gli sta dicendo. Fare i bravi? Ma che significa?!
In quel momento la sagoma fa un nuovo passo verso il ragazzo, entrando pian piano nel recinto di luce. Appaiono due stivali di pelle nera tirata completamente a lucido.
Un altro passo e appaiono i pantaloni grigi di un’uniforme da ufficiale nazista.
Un altro passo e compare il busto dell’uomo che si nascondeva nell’ombra, al petto ha appuntata una svastica che splende di luce propria. Il viso rimane coperto dalle tenebre tranne per quella scintilla di insana follia che continua a splendergli negli occhi.
La sagoma si ferma.
Le mani dell’ufficiale raggiungono i pantaloni della divisa. La cintura si slega. I pantaloni si aprono. Le mutande si abbassano.
R si ritrova davanti al pene eretto dell’ufficiale nazista. Tutt’a un tratto una risata comincia a rimbombare nell’ufficio ancora avvolto dall’ombra. In quel momento R capisce tutto.
Sturmbannführer
“Vieni qui piccolo ebreo!”
Il ghiaccio che intrappola i piedi del ragazzo si scioglie in un battibaleno, senza nemmeno lasciare qualche goccia d’acqua sul pavimento. R non riesce lo stesso a muoversi, la sua mente e i suoi organi sono ora preda dell’ufficiale nazista.
Pochi secondi ed il corpo del ragazzo viene scaraventato contro la scrivania, viene rialzato e posizionato a novanta gradi con le braccia appoggiate al piano, piedi a terra e gambe aperte.
R lo sente entrare con forza. Il dolore si impadronisce del suo corpo. Le lacrime si fanno strada attraverso gli occhi.
Avanti e indietro, avanti e indietro. Ad ogni spinta fa sempre più male, e con la coda dell’occhio il piccolo ebreo riesce a vedere l’ufficiale nazista godere come un vecchio porco in calore, manca solo la lingua di fuori. Gli cadono perfino delle gocce di sudore sul vecchio volto rugoso.
L’ufficiale spinge ancora più forte.
L’urlo del ragazzo echeggia tra le pareti, riuscendo a coprire la risata che ormai da qualche minuto continua ad echeggiare all’interno dell’ufficio.
14/08/1979 ore 00.01
Il turno di notte in ospedale sembrava non finire più. Era sempre così da un anno a questa parte. L’Infermiera Love non ce la faceva più. Aveva cominciato la professione con la passione più sfrenata che un essere umano potesse presentare, ma ora era stanca. Possibile che toccasse sempre a lei il turno più pesante?! Doveva imparare a impuntarsi e a farsi valere, ma non ne era capace. Non da quando quel porco di suo marito l’aveva mollata per una puttanella che lavorava in uno strip-bar. Quella sporca puttana a quell’ora stava senz’altro strusciando le tette contro qualche cliente troppo ubriaco e disperato per capire che otto dollari per una birra e trenta per una palpata a quelle tettone flaccide sono troppi. Ma suo marito non sembrava lamentarsi della sua nuova vita, almeno non con lei.
Ah, brutti pensieri. Meglio pensare a finire il giro della corsia.
Nelle camere 1, 2, 3 e 4 era tutto a posto. I pazienti stavano bene. Ora toccava alla 6, dato che la 5 era vuota.
Accelerando il passo, l’Infermiera Love arrivò alla stanza 6 e vi entrò. In ogni camera, quando si mettevano i pazienti a letto, si teneva sempre una luce molto debole per facilitare il compito delle infermiere del turno notturno. “Un giorno o l’altro devo ringraziare il genio che ha avuto questa bella pensata”, pensò l’infermiera mentre si avvicinava al letto sul quale stava sdraiato R.
“Povero ragazzo, guarda come si è ridotto”.
Si era affezionata ad R, anche se non avevano avuto ancora l’occasione di scambiare quattro chiacchiere insieme. Il paziente dormiva da giorni e giorni, ma non era in coma. Era come caduto in un sonno ristoratore per riprendersi da chissà quale stress.
L’infermiera si fermò un attimo a guardare il volto del ragazzo. La parte destra del giovane viso era parzialmente nascosta da una fasciatura che gli copriva la ferita. Aveva applicato lei stessa quella medicazione e, come tutte le infermiere che fanno bene il loro lavoro, ne andava fiera. Era una fasciatura perfetta, né troppo stretta né troppo larga… perfetta. “Mi sa che ti toccherà portare i segni di quella ferita per tutta la vita, piccolo caro”. Il taglio era bello profondo e partiva dalla fronte per poi arrivare fino alla guancia destra, disegnando una sorta di arco sul quel bel visino. Meno male, però, che il giovane aveva la testa più dura di quello che ci si sarebbe potuti aspettare. Non presentava la benché minima frattura nel punto in cui era stato colpito.
L’Infermiera Love si accorse che si era attardata troppo a fissare il paziente, doveva ancora finire il turno. Si girò verso il tavolo che si trovava a destra del letto e vi posò le varie cartelle cliniche, estraendo dopo qualche secondo quella relativa ad R.
Si girò nuovamente verso R dando un’occhiata a ciò che era scritto sui vari fogli. Alzò gli occhi per controllare nuovamente il paziente, e per poco gridò per quello che vide.
R era steso poggiato sulla spalla destra con tutti i muscoli che sembravano contratti per un unico grande sforzo. Due occhi sgranati che fissavano intensamente l’infermiera. L’ago della flebo, tirato dalla posizione in cui il ragazzo versava, era uscito dalla vena. Un rivolo di sangue stava ora rigando il braccio del ragazzo cadendo sulle linde lenzuola.
Il ragazzo aprì la bocca e gridò. R si era svegliato.
To be continued…
E.
5 agosto 2010
Baby, Jude pt.8
10/08/1979 ore 01.12
Era veramente tardi, ma per un amico si fa questo ed altro. Soprattutto se quell’amico ha il suo unico nipote in ospedale. Sono cose che si fanno con piacere, anche se si ha la certezza che il favore non verrà per forza ricambiato, ma va bene così. Certe cose scorrono lisce solo se le lasci andare e non pensi a tutte le possibili conseguenze, per la maggior parte dei casi delle grandissime stronzate, che potrebbero afferrare la tua vita e strizzarla come uno straccio stretto dal pugno chiuso di una vecchia lavandaia.
Davvero una bella serata, forse un po’ deprimente all’inizio. Ma sulle cause dell’iniziale apatia non ci si può lamentare, cose che succedono a chiunque.
Tenendo il volante con la mano sinistra, Mr. FARMER estrasse dal pacchetto una sigaretta e, dopo aver strofinato il fiammifero sulla striscia di cartavetrata che aveva appositamente fissato sopra l’autoradio, la accese. In quel momento un cerino ancora fumante uscì volando dal finestrino dalla parte guidatore.
Chissà se G era ancora sveglia. In quei pochi giorni passati da quando era tornata dal padre non aveva fatto che piangere tutto il giorno, chiusa nella sua nuova camera ancora spoglia dal passaggio delle varie passioni giovanili. A volte verso le cinque del mattino, orario perfetto per iniziare una giornata di lavoro nei campi, Mr. FARMER la trovava stesa sul letto, ancora vestita e con il bel viso macchiato di lacrime di disperazione.
Doveva avere pazienza: la morte di una madre non è cosa facile da buttar giù.
Con gli occhi fissi sulla vecchia strada, Mr. FARMER cominciò a pensare a L, e a come avrebbe potuto funzionare il loro matrimonio se solo lui non avesse voluto condurre a tutti i costi la vita di campagna. Invece che abitare nella vecchia fattoria di famiglia si sarebbe trasferito in una casetta di una zona residenziale di una grande città, sua moglie gli avrebbe preparato le frittelle tutte le mattine e gli avrebbe dato il buongiorno con il sorriso sulle labbra e un bicchiere di succo d’arancia in mano. Poi lui si sarebbe recato in ufficio, lasciando la moglie sola in casa ad occuparsi delle faccende domestiche e della spesa giornaliera. Di pomeriggio, L sarebbe andata a trovare le amiche che non facevano altro che scambiarsi le ricette delle torte più buone del mondo, sostenendo sempre che il segreto era quel pizzico di noce moscata in più. G avrebbe avuto tanti amici, e col passare degli anni avrebbe passato anche un mucchio di fidanzatini dagli ormoni impazziti, visto che è una bella e intelligente ragazzina. Alla sera, Mr. FARMER sarebbe tornato a casa e si sarebbe messo a tavola con le due persone che tanto amava e adorava. Dopo cena si sarebbe tenuta la consueta e insapore scopatina con la mogliettina che pian piano diventava sempre più fredda e poi a letto presto che la mattina dopo sarebbe ripartito il solito giro. Una sintesi perfetta del Sogno Americano.
“Mille volte meglio sentire il puzzo del letame e della benzina agricola”, pensò Mr. FARMER con una nota di disgusto e buttando fuori dal finestrino la sigaretta ormai ridotta ad un mozzicone. Dopo pochi minuti la macchina imboccò il polveroso viale di casa.
“Spero solo che questa notte G si decida a dormire come si deve”.
Mr. FARMER entrò in casa e chiuse la porta pian piano per evitare di fare troppo rumore nel caso che G si fosse messa a dormire. Non sentiva alcun rumore. Molto bene.
Mentre saliva le scale in punta di piedi, sempre per evitare di far troppo baccano, sentì dei debolissimi gemiti. G era ancora sveglia. Quando arrivò davanti alla porta chiusa della camera di sua figlia, i lievi lamenti inondarono le sue orecchie, riempiendolo di una tristezza infinita. Gli occhi gli si inumidirono. Lentamente aprì la porta.
La piccola lampada posta sul comodino affianco al letto emanava una luce debole, contro la quale si stagliava la figura di G, seduta sul letto e con i piedi a terra, che tremava per il troppo pianto.
Mr. FARMER
(con tono apprensivo)
“Ciao tesoro… vuoi che ti porti un bicchiere di latte caldo?”
La figlia non rispose, continuava a singhiozzare disperatamente in preda al pianto.
Mr. FARMER
(con tono apprensivo)
“Tesoro… ti ho chiesto se vuoi del latte caldo…”
Ancora nessuna risposta.
Molto lentamente Mr. FARMER si avvicinò al letto su cui stava seduta G e, arrivato davanti a lei, le si sedette affianco. Il materasso era veramente morbido. Passarono pochi ma lunghissimi minuti di silenzio, rotti soltanto dall’infantile disperazione di G.
Ormai straziato da quei deboli lamenti, Mr. FARMER posò il braccio destro sulle spalle della figlia e la attirò a sé. L’abbracciò calorosamente, e mentre la teneva stretta la confortava con le solite frasi che si dicono ai giovani quando muore un caro: “la mamma è in un posto migliore”, “la mamma ti voleva bene”, “non è stata colpa tua”, ecc.
A quel punto, i deboli gemiti si trasformarono in una cascata di lacrime amare. A volte le coccole servono, e se somministrate nella dose giusta fanno il loro effetto quasi immediatamente, ovvio che il momento di estremo sfogo c’è sempre. Dopo pochi minuti i lamenti si quietarono e G levò lo sguardo incrociando gli occhi del padre. I bellissimi occhi verdi della ragazzina erano umidi di pianto, e vedendo questo a Mr. FARMER si strinse il cuore in una morsa di dolore.
Mr. FARMER
“Va meglio ora?”
G
(singhiozzando debolmente)
“Un pochino sì…”
Mr. FARMER
“Sappi che io sono qui per te. Siamo finalmente sotto lo stesso tetto. Io e te, senza interferenze”
La figlia lo abbracciò. Era un abbraccio che veniva da dentro, quel genere di gesti spontanei e sinceri che difficilmente si scordano durante tutta una vita.
Ora dovevano andare avanti, tutti e due. Non potevano piangere sul latte versato, la vita continua… con o senza le persone care.
Mr. FARMER
“Sai, prima sono stato dal mio vicino V. E mi ha detto che gli piacerebbe che tu e suo nipote R facciate amicizia, sempre se si rimetterà dal brutto colpo che ha preso”
G
“Mi piacerebbe moltissimo… non conosco ancora nessuno qui. Ci sono solo campi su campi su campi. E quando vai a lavorare mi sento sempre molto sola”
Mr. FARMER
“Piccola mia… lo so che questo è un bel cambiamento per te. Ma la vita va avanti. Bisogna tirare avanti, nonostante i sacrifici che la vita richiede”
G
“Sì papà, lo so… Ma mi manca la mamma”
Da quella semplice ammissione di debolezza, nella mente di Mr. FARMER cominciarono a scorrere le immagini degli anni di matrimonio con L. Pochi ma intensi anni, spazzati via dalla poca attitudine che L nutriva per la dura vita di campagna. Si ricordava come se fosse ieri il giorno in cui la moglie gli si parò davanti, tenendo la figlia di sei anni per mano, annunciandogli il suo addio definitivo alla vita agricola. La lite fu furibonda e Mr. FARMER non ebbe nemmeno il tempo di salutare l’amata figlia. Quello verso cui agitò la mano fu solo il polverone sollevato dalla macchina della moglie che fuggiva da quella che lei giudicava essere una vita senza stimoli e passioni.
Il giorno della separazione cominciò il lento ma inesorabile declino di Mr. FARMER. Un declino dettato dall’alcool e dal lavoro. In cuor suo non aveva mai smesso di amare L e di pensare costantemente a G, ma sapeva che non avrebbe mai ottenuto l’affidamento della figlia. La madre era quella più qualificata: si era trovata un lavoro per bene e stava con un omettino per bene dell’alta società. Per quanto amasse ancora L, Mr. FARMER non fece una piega quando dovette firmare le carte del divorzio. Entrò nello studio dell’avvocato, firmò e se ne andò via, prendendo con sé solo le specifiche che riguardavano gli alimenti che ogni mese avrebbe dovuto versare alla moglie per il mantenimento della figlia. Quella stessa figlia che ora lo guardava con dolcezza infinita.
Mr. FARMER
“La mamma manca a tutti e due, tesoro mio. Ma non dobbiamo arrenderci. Non dobbiamo farci vedere deboli da questa vita. Dobbiamo ritrovare la forza di rialzarci nonostante tutte le volte che veniamo messi al tappeto”
G
“Sì papa… ti prometto che da oggi non piangerò più”
Mr. FARMER
“Tesoro mio… non ho mai detto che non ti voglio vedere piangere. Sappi che non c’è nulla di male. Mi dispiace solo di vederti disperare tutte le notti, senza uscire dalla tua camera e senza conoscere la tua nuova casa e la tua nuova vita”
G
(asciugandosi le ultime lacrime)
“Ti voglio bene papà”
Mr. FARMER
“Te ne voglio anch’io, tesoro”
Mr. FARMER si alzò dal letto, e lasciò che la figlia ci si sdraiasse sopra, pronta per la prima sana dormita nella nuova casa. Senza far rumore si diresse verso la porta della camera e, una volta arrivato sull’uscio di essa, si girò per dare un’ultima occhiata a G.
Mr. FARMER
“Domani comincerà una vita migliore… per tutti e due”
G
“Buonanotte papà”
Mr. FARMER
“Buonanotte tesoro”
La luce della camera si spense.
Mr. FARMER chiuse la porta della camera di G e in punta di piedi andò in camera sua.
Pochi minuti dopo era già steso a letto. Voleva leggere qualche pagina del nuovo romanzo che aveva comprato da pochi giorni, ma il cervello gli rispose con un secco “NO!”. Cominciò a pensare alle poche ma sincere parole che sua figlia gli aveva rivolto poco prima. A quel punto il contadino cominciò a piangere, tenendosi una mano premuta contro la bocca per non far fuoriuscire il benché minimo lamento.
“Domani smetto di bere… è una promessa, tesoro mio”.
La luce della camera si spense, e tutta la fattoria diede finalmente la sua buonanotte al mondo.
To be continued…
E.
3 agosto 2010
Baby, Jude pt.7
09/08/1979 ore 23.00
Mr. FARMER tracannò l’ennesimo bicchiere di Whiskey, guance rosse e occhi stanchi.
Quella mattina aveva deciso che avrebbe fatto visita al suo vicino di fattoria V, per parlare un po’ dell’incidente di R e così cercare di tirarlo su di morale. Poi non vedeva l’ora di parlargli anche di un altro argomento, ma per ora il più importante era R.
Era già da un’ora che erano lì seduti a bere, e la conversazione non era stata delle più brillanti, non reggeva il minimo confronto con quelle lunghe chiacchierate che i due si facevano di tanto in tanto davanti ad una bottiglia di buon Whiskey e con musica rilassante come sottofondo.
“Quasi quasi è meglio se alzo i tacchi e lo lascio in pace a pensare”, pensò Mr. FARMER, versandosi un paio di dita di buon sciacquabudella nel bicchiere. Avrebbe dovuto capire da subito che il vecchio non era in vena di parlare, soprattutto dopo ciò che era successo al ragazzo, veramente una brutta gatta da pelare. Diede un rapido sguardo a V. Il vecchio non sembrava essere in cattiva salute, ma lo sguardo fisso sulla bottiglia di Whiskey non era molto rassicurante. C’era una scintilla in quegli occhi, sembrava una nota di inquietudine, quell’angoscia che ti mangia dentro, quella derivante dal portare sul groppone segreti orribili che non puoi svelare nemmeno ad un amico fidato.
La situazione stava diventando insostenibile, l’aria si stava facendo pesante. Silenzio imbarazzante. Ora l’unico rumore era il ticchettio dell’orologio a muro appeso in cucina sopra al frigorifero.
TIC TAC TIC TAC TIC TAC…
“Basta! Comincio a vuotare il sacco per primo, vediamo se si riprende”
Mr. FARMER
“Lo sai che ho ottenuto l’affidamento di G?”
V
(come riprendendosi da un’apnea mentale)
“Ah sì?! Aspetta… stai parlando di tua figlia?”
Mr. FARMER
“Eh già…”
V
“E come hai fatto a spuntarla contro il giudice e la tua ex-moglie? Non aveva forse detto che la madre era l’unica idonea a far crescere la piccola?”
Mr. FARMER
“E’ così infatti. Ma vedi, tre giorni fa mi è arrivata una telefonata dal mio avvocato: in quattro e quattr’otto, senza lasciarmi il tempo di parlare o replicare, mi ha detto che la mia ex era morta e che il far crescere G sarebbe stato compito mio”
V
“L morta? E come è successo?”
Mr. FARMER
“La polizia sospetta che si tratti di suicidio, ma le prove confermano la loro tesi in modo inoppugnabile. L è stata trovata sul pavimento del salotto, con una 38 in mano e un foro di proiettile in mezzo alla fronte… Mi hanno anche detto che la ferita presenta tutti i segni di essere stata fatta a bruciapelo, quindi non dovrebbero esserci dubbi secondo me”
V
“E G come ha reagito?”
Mr. FARMER
“E’ stata proprio lei a trovarla, povera piccola. Quella mattina si è svegliata per fare colazione e si è trovata davanti a quello scempio”
V
“Mio Dio… e ora?”
Mr. FARMER
“Eh, il giorno stesso è entrata in casa mia. Povera bambina, non fa che piangere per tutto il giorno. Se ne sta chiusa in camera sua e piange, piange e piange. Non so se portarla da uno psicologo o che altro. Tu che dici?”
V
“Beh, prima di tutto evita gli psicologi, sono solo una mandria di bonaccioni pervertiti che si eccitano ad ascoltare le turbe mentali dei loro pazienti. Se poi il paziente in cura è attraente una bella scopata consolatoria, ma che verrà definita come parte essenziale del cammino curativo, è garantita”
Mr. FARMER
“Ma dai… molte persone hanno detto di aver risolto tutti i propri problemi consultandoli”
V
“No, no, no, no… ascoltami. Ho io una cura migliore: l’amicizia con un altro ragazzino che si sente solo. Proviamo a far conoscere mio nipote a G, sempre sperando che R si svegli dallo stato in cui versa, e poi vedrai che iniziando a giocare e ad abbandonarsi alla spensieratezza infantile che li dovrebbe accumunare, e che dovrebbe essere parte integrante di ogni bambino, cominceranno a mettere da parte il passato e a pensare al futuro con gioia”
Mr. FARMER
“Quante belle parole… ma ne sei sicuro?”
V
“Ne sono certo, quasi”
Mr. FARMER
“E allora proviamo a fare così…”
V
“Tu come ti senti?”
Mr. FARMER
“Ancora non lo so, sinceramente… ho sempre pensato a L con amore, ma ora come ora non so ancora cosa provare…”
V
“E’ normale quando una persona cara viene a mancare così di punto in bianco, non ti devi preoccupare più di tanto”
Mr. FARMER
“Una persona cara… Diavolo! Mi ha mollato in mezzo alla merda e dopo sette anni dal divorzio mi ritrovo ad amarla ancora”
V
“Cose che capitano… d’altronde in un divorzio c’è sempre uno dei due che ne esce con il cuore spezzato”
Mr. FARMER
“Non penso sai, ma di sicuro questa volta è andata così…”
V
“Ti va di parlarne?”
Mr. FARMER
“Farei volentieri a meno, ma un altro bicchiere di quello lo prendo”
V
“E allora brindiamo…”
Mr. FARMER
“Era ora, vecchio della malora”
I bicchieri tintinnarono, ed un lungo sorso di buon sciacquabudella cadde attraverso le gole dei due. Veramente buono.
L’atmosfera si era finalmente rilassata, la conversazione era cominciata e stavano tutti e due molto meglio. La sensazione che provoca il ghiaccio che comincia a squagliarsi in piccole gocce dopo un silenzio imbarazzante, come quello di poco prima, è una sensazione unica al mondo. Ti rilassa a tal punto da non provare più paura per quello che potresti dire dopo qualche goccetto di troppo. Adesso anche la musica sembrava avere nuova profondità e sonorità rispetto a prima.
Una sigaretta avrebbe ravvivato ancora di più l’atmosfera. I due, contemporaneamente, presero i rispettivi pacchetti dal tavolo. Pall Mall Rosse per Mr. FARMER e Lucky Strike per V. Sempre contemporaneamente, i due sfregarono i fiammiferi e si accesero il rispettivo palo della vittoria. Estasiante. Il fumo saliva seducente e sensuale, disegnando mille curve di donna nella sua lunga e lenta salita verso l’infinito.
Mr. FARMER
“Allora dimmi… come sta R?”
V
“Mah, le condizioni sembrano stabili. Continua a dormire. Non è in coma né in altre cazzate del genere. Dorme e basta”
Mr. FARMER
“Quindi sembra che non sia successo niente di grave?”
V
“No pare proprio di no. La botta alla testa è abbastanza brutta, ma il dottore, a seguito dei vari esami eseguiti sul testone di R, mi ha detto che guarirà in fretta. La mazza di quel cazzo di amico di mio nipote ha solo beccato il punticino esatto per fargli perdere quasi tutta la memoria, o almeno spero che non sia tutta”
Mr. FARMER
“Stavo ripensando a quello che ho detto una sera da te: che questi ragazzi dovrebbero vivere durante la guerra per capire cos’è la famiglia e imparare ad accontentarsi delle semplicità che la vita offre. Beh, penso che i nostri due ragazzi abbiano subito fin troppo per sentirsi dire altre cose di questo tipo”
V
“Esatto! Un brindisi ai nostri due ragazzi. E ad una lunga amicizia”
Mr. FARMER
“Parole sante, vecchio mio. Parole sante…”
I bicchieri tintinnarono tra loro per la seconda volta in pochi minuti. Le ennesime sorsate di Whiskey si riversarono dentro i corpi dei due amici. Veramente buono.
To be continued…
E.